Caro lettore, oggi il nostro viaggio ci porta a superare non soltanto il tempo, ma anche i limiti geografici della Sicilia. La storia che mi presto a narrare accade nella vecchia Mesopotamia, ma per le particolarità che presenta possiamo immaginare che sia avvenuta tra le pendici dell’Etna, dove sono più presenti gli alberi di gelsi.
Per l’appunto questo frutto ne è indirettamente il protagonista, di come il suo colore mutò da bianco in rosso scuro.
Immaginiamo di essere tra le campagne della valle dell’Etna, dove il colore lavico della terra si pone in forte contrasto con il blu limpido del cielo, tra l’odore dei fiori di agrumi e degli aromi delle campagne siciliane.
In questa ambientazione vivevano due splendidi ragazzi, Piramo e Tisbe. Questi due giovani vivevano in due proprietà confinanti, due famiglie benestanti, le quali erano in forte contrasto. Non ci è dato sapere da dove scaturì il conflitto, come spesso accade certe incomprensioni, come fili di matasse, si aggrovigliano e si perdono nel tempo. Sta di fatto che le due famiglie si odiavano.
Piramo e Tisbe si conobbero da bambini, diventando adolescenti in loro si accese la fiaccola dell’amore. Immaginate come venne contrastato dai loro familiari in tutti i modi. Ma l’amore non conosce ostacoli o forme di restrizioni. Tra le due proprietà c’era una cinta muraria molto alta, spessa, fatta di tufo giallo.
I due ragazzi riuscirono a trovare una piccola crepa da dove potevano parlarsi ogni giorno alimentando il loro amore e desidero. Quante volte dietro quella parete indifferente sospiravano il loro amore ed il loro desiderio, “Tisbe mi amata, potesse per un attimo la mia mano superare questa parete fredda e sfiorare i tuoi capelli e le tue labbra”, “Piramo siamo destinati a questa sofferenza perenne? Mi amato perché gli Dei hanno maledetto il nostro amore?”.
I giorni si susseguivano così, tra promesse di un amore che sembrava impossibile e dolore di non potersi sfiorare.
Un giorno di caldo scirocco che soffiava tra i fichi d’india, tra il rumore delle cicale assordanti i due amanti infelici decisero che non potevano continuare con quella tortura, ma dovevano trovare una soluzione. Era scontato che le loro famiglie non avrebbero mai acconsentito alla loro unione, l’unica cosa era di fuggire insieme. Siamo di fronte all’archetipo della moderna “fuitina”.
Dietro il muro Piramo disse “Tisbe, non possiamo attendere ancora! Io soffro per l’amore che provo per te. Fuggiamo lontano insieme, dove nessuno potrà raggiungerci”, “si mio amato Piramo, sono d’accordo, basta con questo strazio! Domattina presto quando ancora le tenebre avvolgono tutto fuggirò da casa. Incontriamoci sul colle dove vi è la sorgente, vicino l’albero di bacche bianche. Ti aspetterò li”.
Così la mattina del giorno dopo, al chiarore di Luna che delineava l’Etna dormiente, Tisbe usci di soppiatto da casa, sali sul colle dove vi era la sorgente ed attese. Il suo cuore era pieno di ardore in attesa che giungesse il suo amato. Ma il loro fato era implacabile. Sopraggiunse una leonessa che aveva terminato di sterminare un gregge, grondante di sangue venne ad abbeverarsi alla sorgente. Alla sua vista Tisbe fuggi a nascondersi in una grotta. Nel modo di scappar via perse il velo che copriva il capo e le spalle. La leonessa, spenta la sete, ritorno nel bosco, ma prima si accorse del velo di Tisbe. Resto intenta ad odorarlo e leccarlo con le sue fauci, sporcandolo vistosamente di sangue fresco. Dopo averlo anche strappato con gli artigli si allontanò nel fitto bosco.
Giunse Piramo e chiamò Tisbe, ma nessuno rispondeva. Sulle rive della sorgente, sotto l’albero delle bacche bianche, trovò il velo, lacerato e sporco di sangue. Accanto delle vistose orme di una belva. A Piramo il sangue in quell’istante si gelo, il suo entusiasmo, il suo ardore furono mutati in terrore, in lacerante dolore. Immaginò che la sua Tisbe fosse stata uccisa dalla belva. “Allora è vero! Il nostro amore è maledetto dagli Dei e dal Destino. Colpevole io che mi sono attardato a raggiungerti! Ora Tisbe ti ho perduta per sempre! Vi prego belve dei boschi, straziate il mio corpo e la mia mente, non resti di me nulla!”.
Piramo raccolse i brandelli del tessuto e si sedette sotto l’albero a piangere. Intanto l’aurora schiariva il celo e restituita il colore alle cose.
Sotto l’albero Piramo estrasse il suo pugnale dalla fodera “Tisbe la vita ci ha diviso, ma la morte ci unirà! Che il mio sangue si unisca al tuo in questi brandelli di tessuto.”, così dicendo si conficcò il pugnale nel petto. Il sangue sprizzò verso l’albero colorando di rosso i piccoli frutti pendenti.
In quell’istante Tisbe, uscita dalla grotta dove aveva trovato riparto, giunse di fronte l’albero, ma inizialmente non lo riconobbe. I frutti sembravano rossi al chiarore del cielo. Ma non erano bianchi?
Avvicinandosi si accorse del corpo esanime di Piramo. Corse da lui ed estrasse il pugnale. Chiamò disperatamente il suo amato, il quale per un attimo riaprì gli occhi per poi chiuderli per sempre.
Tisbe lo bacio più volte, finalmente aveva modo di sentirne la pelle, l’odore delle sue labbra, ma Piramo non era più con lei.
Prese il pugnale e vide il tessuto tra le mani di Piramo. Capì che il suo uomo aveva fatto il gesto estremo per amore. E lei per amore era decisa a raggiungerlo.
“Piramo, l’amore ti ha ucciso e mi hai lasciata sola e sventurata. Ma avrò la forza di raggiungerti, la vita ci ha diviso, ma la morte ci unirà!”.
Poi guardando verso l’albero, verso le sue bacche disse “albero, tu che sei stato il testimone del nostro infelice amore possa ricordarlo per sempre. Le tue bacche custodiscano il color cupo del dolore e del nostro sangue. Che non si dimentichi mai la nostra tragedia!”, così dicendo si pugnalò, cadendo senza vita sul suo amato.
Gli Dei che assistettero a questa tragedia accolsero il desiderio di Tisbe e da allora le bacche dei gelsi mutarono dal bianco ad un colore rosso cupo, come sangue.
Lettore come vedi questa antica storia, che non conosce tempo, può essere ambientata nell’isola bella (in realtà in ogni parte del mondo dove gli amori sono resi impossibili e diventano tragedie), dove nella valle dell’Etna si trovano coltivazioni di gelsi.
Dopo secoli i gelsi custodiscono ancora il sangue dei due amanti.