Tra Scilla e Cariddi

Caro lettore, oggi ci dirigiamo al limite nord-est dell’isola bella, sullo Stretto di Messina. Il mare è una porzione di territorio del nostro pianeta senza confini, una sorta di terra di “nessuno”. Sul mare non vi sono padroni, non vi sono confini o modifiche dettate dal trascorrere del tempo. Il mare è eterno.
Nella toponomastica della memoria quella zona di mare viene indicata come “Stretto di Messina” una sorta di ultimo avamposto della terra sicula proiettato sulle acque. Qui ha origine il mito di cui mi appresto a narrarti. In realtà la storia di Scilla e Cariddi abbraccia due regioni, la Sicilia e la Calabria.

Dovreste chiedere all’astuto Ulisse quante difficoltà, sangue e sudore, gli costò passare in quello stretto di mare, dove risiedevano i due mostri marini: Scilla e Cariddi.

Procediamo con ordine.

 Scilla era una bellissima ninfa, di cui Glauco, un semidio si era innamorato. Non ricambiato tentò di conquistare l’amore della ragazza attraverso la magia. Così Glauco si rivolse alla maga Circe, la quale non contenta della richiesta pretese Lei di avere l’amore di Glauco, il quale rifiutò dicendole che non avrebbe mai amato alcuna donna se non fosse stata Scilla.

Circe, dea, maga e donna offesa! Poteva mai esimersi da perpetrare una tremenda vendetta? 

Così con la sua magia creò un unguento che versò nella caletta ove Scilla si immergeva per fare il bagno, di fronte le coste calabresi. L’intruglio infernale mutò nel corpo la giovane ninfa. Scilla appena si immerse sino al ventre vide tramutare le sue gambe in orrendi cani. Non credeva ai suoi occhi!  Scilla cercò di scappare, ma vide che portava con se questi orrendi animali che ringhiavano e sbavavano con inaudita ferocia. Non aveva più il busto, ma al posto di questo i cani feroci. Scilla  per la vergogna si nascose tra gli anfratti di una grotta di fronte capo Peloro. Lì, celata nell’oscurità attaccava i naviganti al passaggio delle loro navi. Lo stesso Ulisse vide i propri compagni di avventura sbranati dal mostro.

Cariddi era una naiade, una ninfa delle acque, famosa per la sua voracità. Inoltre aveva anche il vizio di rubare. Un difetto non di poco conto, considerando che un giorno rubò ad Eracle i buoi di Gerione divorandone alcuni.

Zeus, adirato con Cariddi per ciò che aveva commesso, la scaraventò con un fulmine nel mare e lì Cariddi si trasformò in uno orrendo mostro marino con una enorme bocca. Lo specchio di mare dove accade questo evento è quello di Capo Peloro, a nord di Messina. Oggi viene individuato con Torre Faro.

Lì Cariddi con la sua enorme bocca risucchiava tre volte al giorno l’acqua creando vortici enormi dove le navi venivano trascinate negli abissi, divorando i marinai per poi gettare via l’acqua risucchiata.
Ed il prode Ulisse si salvo per miracolo alla potenza di Cariddi, aggrappandosi all’albero di fico di fronte al mostro.

Cosa rimane oggi di tutto ciò lettore? Se passerai dalla ridente cittadina calabrese Scilla dinanzi al promontorio vi è un scoglio scuro, quella è Scilla che venne trasformata successivamente in roccia.

Se invece avrai il piacere di poter godere un bagno nell’acqua cristallina nella zona di Torre Faro attenzione a non dar troppo fiducia al mare, perché ancora ad oggi nel corso della giornata si formano correnti e mulinelli. Probabilmente Cariddi ad oggi non ha saziato la sua fame vorace.
E nelle giornate di vento con il mare in tempesta potrai sentire il vento che porta con se l’eco della ruggito di Cariddi.