Il mito di Colapesce

Lettore, oggi ci spostiamo sull’estremità nord orientale della Sicilia , in quel posto chiamato Capo Peloro ( o Torre Faro). Zona di mare, di correnti marine. Zona di mito e leggende.

Le leggende popolari tramandate ci raccontano di un giovane, un tale Nicola detto poi “Colapesce” o “Pescecola”. Già, almeno 3 nomi del nostro personaggio ed una serie di varianti sulla sua leggenda popolare. Già, devi sapere caro Lettore che questa è una delle leggende, da quanto diceva Giuseppe Pitrè, più tramandata nei secoli, di cui esistono varie versioni. Tutte accomunate però da una serie di elementi: la presenza delle colonne che sostengono la Sicilia, la presenza di un imperatore, l’amore sconfinato di un giovane per il mare.

Andiamo con ordine e sintetizziamo il “cunto” se sinora ha destato la tua curiosità Lettore.

C’era un ragazzo, Nicola, abitante di Messina, precisamente della zona nord di Messina oggi chiamata Torre Faro. Di famiglia di pescatori, amava talmente le creature del mare che a volte se trovava nel pescato del padre qualche pesce vivo lo rigettava in mare. Considerando che la sua famiglia viveva con il guadagno del pescato non è che tale gesto d’amore veniva gradito in famiglia.
Un giorno adirata la madre inveii contro il figlio “Disgraziato! To patri fatica con i tuoi fratelli per piscari e tu getti a mare u pisci! Un piccatu davanti u Signuruzzu! Nicola pentiti! Altrimenti verrai castiatu e diventerai macari tu pisci!

Non avesse mai pronunciato quelle parole! Il figlio il giorno dopo appena destato dal sonno si trovo mezzo pesce, con le mani e le dita dei piedi palmari, parte del corpo con le squame ed le branchie.
Per Nicola alias ColaPesce non sembrava vero. Adesso poteva fluttuare liberamente tra le onde del mare, andare in profondità a vedere le meraviglie del mare.

Nel suo immergersi tra le acque dello Stretto vide di tutto: pesci enormi, le sirene, i preziosi dei fondali (probabilmente anche Scilla e Cariddi, ma quella è un’altra storia).
Il ragazzo viveva libero e felice per il mare e non tornava mai sulla terra ferma. Il suo elemento era il mare.

Talmente si sparse la voce del giovane prodigioso che l’imperatore Ruggero II (alcune tradizioni parlano di Federico II, di sicuro comunque c’è il numero “II’) volle conoscere personalmente.

 Così ordinò di dirigere il proprio vascello verso Capo Peloro.

Qui trovò Colapesce e lo invito a salire sulla nave. Per metterlo alla prova delle sue capacità acquatiche gli disse “ecco, adesso getterò questa coppa d’oro in mare, vediamo se riesci a prenderla”, così fece.

Colapesce immediatamente si getto dal vascello e nuoto per recuperare l’oggetto in fondo al mare. Appena risalito l’imperatore si congratulò “ben fatto, te ne faccio dono, resta con noi a pranzo”. Non so quanto potesse essere contento Colapesce del dono. Che se ne fa di una coppa d’oro quando un uomo possiede il mare?

L’imperatore ancora incuriosito sfido nuovamente Colapesce e getto dal vascello la sua Corona “vai a riprenderla se riesci!”

Colapesce si tuffo e andò fini in fondo, la corona era scivolata negli abissi. Nell’oscurità dell’abisso mentre stava prendendo la corona vide un bagliore rosso. Continuo a nuotare per capire cosa fosse. Davanti a lui si spalancò uno scenario incredibile: in profondità vide tre enormi colonne che sorreggevano i tre estremi della Sicilia. Lo scenario era incredibile, non si riusciva a scorgere né l’inizio né la fine delle colonne talmente erano enormi. Ma il bagliore da dove veniva?
Si accorse che accanto alla colonna che sorreggeva l’estremità di Messina vi era una sorta di caverna da dove fuoriusciva la lava incandescente. Ecco il perché del bagliore! Era la lava del vulcano Etna (all’epoca conosciuto come Mongibello) che stava oltretutto consumando la colonna sgretolandola.
Immediatamente risalì in superficie e consegnando la corona all’imperatore gli raccontò ciò che aveva visto. L’imperatore non gli credette. Come potrebbe mai esserci del fuoco in fondo al mare!
Così lo sfido “Colapesce ti sfido a darmi prova di ciò che dici, portami il fuoco!” .

Colapesce gli rispose “ Maestà proverò quanto detto. Ecco, porterò con me un pezzo di legno e risalirò con il tizzone che darà prova del fuoco. Anche se con  l’impresa che mi accingo a fare metto a rischio la mia vita”.

Così si tuffò e scese fin le profondità fino dell’abisso all’imbocco della caverna e accosto il pezzo di legno alla lava che subito cominciò a bruciare. Finito di fare ciò si accingeva a risalire, ma sentì un rumore venire dalla colonna. Stava cominciando a cedere.

Senza pensarci un attimo scaraventò il pezzo di legno in alto, lontano, e si diresse verso la colonna per poterla sostenerla con tutta la sua forza.

L’imperatore vide riaffiorare in superficie del mare il pezzo di legno consumato dal fuoco, ma Colapesce non apparve più.

C’è chi pensa che sia morto, c’è chi pensa sia ancora lì a sostenere la colonna. Ma noi sappiamo che è ancora lì, a sostenere la colonna.

Vedi Lettore, Colapesce ad un certo punto all’amore per il mare decise di sacrificarsi per un amore ancora più grande, per la sua isola, decidendo di sorreggerla.

Si è vero o lettore che stai terminando di leggere questa storia, ho romanzato un po’ la narrazione. Ma che vuoi che ti dica, sono un sognatore e la Sicilia è una terra che si presta al sogno. Al cunto. Immaginiamo che sia ancora li Colapesce, a sorreggere una delle colonne.